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KERTESZ IMRE
Essere senza destino
KERTESZ IMRE, Essere senza destino
Autore:
KERTESZ IMRE
Titolo:
Essere senza destino
Descrizione:
Editore:
Feltrinelli
Data di edizione:
Pagine:
0
Dimensioni cm.:
14x22
ISBN13:
9788807015618
Codice:
151985
Collana:
Narratori Feltrinelli 0
Prezzo:
Disponibilità:
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Italiano
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La collana Narratori Feltrinelli
Premio nobel 2002 -*- La giuria del premio Nobel non poteva scegliere meglio di così il vincitore di quest'anno per la letteratura. Imre Kertész, lo scrittore ungherese autore di alcuni dei libri memorabili di questo secolo, è, sia come uomo sia come letterato, una delle grandi personalità degli ultimi decenni. Tanto più che la sua grandezza non è in alcun modo esibita né ostentata né perseguita. Ô connaturata. Per chi lo conosce da vicino, pare incredibile che questo scrittore, letterato coltissimo - anche ciò senza alcuna esibizione - sia uscito quasi indenne dalla tragedia più spaventosa del millennio: lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento del nazismo. La sua sopravvivenza è duplice: da un lato quella fisica, un'improbabile lotteria con la morte che soltanto pochissimi hanno vinto, dall'altro quella psicologica e intellettuale. Kertész ha conservato una lucidità e una buona disposizione verso la vita di cui è difficile trovare altri esempi. Perché questo scrittore, anche nel buonumore, nella serenità, è assolutamente sommesso e privo di qualunque forma di chiassosa esibizione. Eppure anche il suo successo di letterato è stato terribilmente faticoso. Il suo libro più noto, Essere senza destino , ha aspettato parecchi anni prima di venire pubblicato nel regime di K d r, in Ungheria. La pubblicazione del romanzo risale al '75, ma la stesura è molto precedente. Come mai questo ritardo? Perché verso questo libro geniale gli editori dello Stato erano diffidenti? Ô difficile capirlo; fatto sta che durante tutti quegli anni sulla questione ebraica si era messo un coperchio, in Ungheria, come se quella questione non avesse tormentato mezza Europa causando disastri senza pari. Soprattutto nell'Europa Centrale. Anche subito dopo la sua uscita, questo vero grande monumento all'uomo non ha avuto i riconoscimenti che meritava. La prima pubblicazione tedesca è del '97. Dopo 30 anni di attesa arriva il grande successo letterario e di pubblico, all'estero. Di che cosa si tratta in quel libro? Delle esperienze di un ragazzo nel campo di sterminio di Auschwitz ma l'orrore di quel luogo e di ciò che vi accadde non è rappresentabile. L'orrore si rappresenta soltanto con l'orrore come dice Marcuse. Il ragazzo che vive quella realtà, però, riesce in qualche modo a comprenderla, vederla come qualcosa di naturale, di spiegabile, persino giustificabile perché per lui nel mondo non esiste nulla che non lo sia. Quel mondo è luogo di scoperte e di improvvise illuminazioni, come il resto del mondo. Nessuno scrittore era mai riuscito a parlare in questi termini, così privi di pietà o di tentativi di sentimento. Non c'è pietà e non c'è sentimento che possa arrivare al fondo oscuro di quell'orrore. Kertész cerca di far comprendere così al lettore che persino questa cosa terribile può essere in qualche modo superata. Il libro di Kertész, che dopo la sua pubblicazione italiana non ha avuto quel successo che meritava, dovrebbe essere letto nelle scuole, come materia di esame, anzi questo è un invito al ministro Moratti. Insieme all'opera di Paul Celan, dopo Maus di Art Spiegelmann, Se questo è un uomo di Primo Levi, il romanzo di Kertész è di quei "classici" che resteranno ma oltre al valore intrinseco del libro e del suo autore uomo gentile, solare che vive un tardivo matrimonio di grande felicità, la decisione dei preposti all'assegnazione del Nobel è anche un gesto di grande nobiltà, una sorta di saluto verso l'Europa allargata. Nessuno scrittore ungherese è stato mai insignito del Nobel e sì che la letteratura ungherese di questo secolo è tra le più ricche del mondo occidentale e continua ad esserlo anche ora. Nel campo della musica e della letteratura, questo piccolo Paese eccelle davvero davanti a tutto il mondo. Invece si sono avuti undici premi Nobel ungheresi nel campo delle Scienze. Anche questa è una rivincita e un atto di fede nei riguardi della cultura umanistica, bene inalienabile soprattutto dell'Europa e moltissimo dell'Italia. Kertész stesso del resto adopera la sua cultura per collegare il suo Paese al resto del mondo. Ha tradotto di tutto; filosofi, narratori, poeti da lingue straniere. Ha un credo fermissimo nella letteratura, non ha mai tentato di vivere d'altro, anche quando questa fedeltà gli costava stenti e motivi di scoraggiamento. Anche in questo è un grande esempio per tutti colori che perseguono soprattutto il successo e tutto ciò che il successo comporta per un possibile benessere materiale. Vorrei che lo conoscessero in molti nel nostro Paese, perché il suo modo di parlare soffice ma non affrettato, il suo candore che non è ingenuità ma esempio di saggezza, può essere d'aiuto a tanti di noi. L'anno scorso il Premio Flaiano gli ha assegnato un riconoscimento speciale. Mai decisione è stata più lungimirante nella storia di quel premio. (Del resto Flaiano stesso era della risma dei Kertész). Alla serata della premiazione, avvenuta a Pescara, in luglio, in un anfiteatro moderno di cemento armato, Kertész fu chiamato sul palco e intervistato da Luciano Aloisi, era raggiante e talmente emozionato da sembrare sopraffatto dalle circostanze. Invece era lucido, lucidissimo e a domande di come si può sopravvivere ad Auschwitz ha dato risposte pacate e profonde. Credo che per coloro che l'hanno visto quella sera il suo ricordo rimanga indimenticabile. Come resta indimenticabile la sua figura, il suo essere uomo che fa tornare la fiducia nel genere umano. Quello che penso di lui è che non è possibile non provare un senso di fraternità e di grande approvazione per ciò che è scritto (vari libri, un secondo in uscita da Feltrinelli) e per come ha vissuto. A lui è troppo poco dire bravo ma ai signori del Nobel bisogna dire un "bravi" di cuore. Corriere della Sera, 11 ottobre 2002, Cultura.

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