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ROMANELLO STEFANO
Lettera agli efesini
ROMANELLO STEFANO, Lettera agli efesini
Autore:
ROMANELLO STEFANO
Titolo:
Lettera agli efesini
Descrizione:
Editore:
Edizioni Paoline / San Paolo
Data di edizione:
febbraio 2003 1^ edizione
Pagine:
301
Dimensioni cm.:
23,5x16
ISBN13:
9788831524261
Codice:
154796
Collana:
Libri biblici - Nuovo Testam. 10
Prezzo:
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Dati aggiornati a febbraio 2003
0 - 258 0
Lingua
Italiano
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La collana Libri biblici - Nuovo Testam.
La collana è diretta da Rinaldo Fabris ( Nuovo Testamento) Gianantonio Borgonovo ( Primo Testamento) e Olimpia Cavallo ( ideazione e coordinamento). Si caratterizza per il rigoroso metodo scientifico, attento alla dimensione storica e letteraria, estetica e teologica del testo. Essa rappresenta una nuova traduzione condotta sui testi originali dagli autori e autrici del commento. Si rivolge a quanti sono interessati allo studio e alla conoscenza approfondita della Bibbia.
La "tradizione paolina" di Gianfranco Ravasi Progressivamente si è approdati a una conclusione - ora dominante tra gli esegeti - secondo la quale sei lettere attribuite dalla titolatura a Paolo sarebbero in realtà "pseudoepigrafe" o "deuteropaoline", poste cioè sotto il nome e l'autorità dell'Apostolo ma in verità provenienti da discepoli e da quella che è stata chiamata "la tradizione paolina" (Ef, Col, 2Ts, 1 e 2Tim, Tt) Questa conclusione merita, però, due osservazioni di indole generale 1 La prima è di taglio storico-letterario Le argomentazioni critiche sono, certo, notevoli: ad esempio, in una delle più importanti di queste lettere deuteropaoline, quella ai Colossesi, si hanno 34 vocaboli del tutto inediti per l'intero Nuovo Testamento, 28 estranei all'epistolario strettamente paolino; si ignorano i temi fondamentali cari all'Apostolo quali la giustificazione, la fede, la legge; la costruzione delle frasi è pesante, prolissa e ripetitiva; si rivela l'uso della retorica classica e sono assenti gli appelli diretti, tipici di Paolo; Cristo è presentato secondo un inatteso profilo di Signore cosmico, "capo dei Principati e delle Potestà" (2,10), "dei Troni e delle Dominazioni" celesti (1,16), come colui nel quale "tutto sussiste" (1,17) e tutto è riconciliato e redento (1,20); di scena non è più la Chiesa locale, ma quella universale di cui Cristo è "capo", variando così l'immagine paolina classica della Chiesa come "corpo di Cristo" (1Cor 12) Potremmo andare avanti a lungo nell'appuntare le variazioni tematiche di questo scritto, a partire da una concezione del credere non più visto come atto di adesione personale radicale, ma come la "conoscenza" di un contenuto di verità (fides quae più che fides qua, per usare il linguaggio teologico successivo) E così via con molte altre sorprese di solito segnalate nei commentari alla lettera Detto questo, bisogna però anche riconoscere che simili considerazioni, pur notevolissime e imprescindibili, riguardanti la lettera ai Colossesi e le altre deuteropaoline, non sono mai totalmente apodittiche, perché di per sé non si possono escludere evoluzioni stilistiche e tematiche all'interno di un pensatore così creativo e originale com'è Paolo 2 C'è, poi, un'altra importante osservazione da fare, di taglio più teologico: le lettere deuteropaoline rimangono comunque "canoniche" e, riconoscendole come appartenenti all'orizzonte dei discepoli paolini, non se ne inficia l'ispirazione divina Come faceva notare la Dei Verbum (7 e 8), che alcuni testi neotestamentari provengano da autori "della cerchia" degli apostoli è un fatto che non contrasta la loro "canonicità" perché anche questi scritti sono "apostolici", nel senso che testimoniano - sia pure mediatamente - la predicazione apostolica (si pensi al caso di Marco e Luca) Come si legge in un commento a un'altra importante lettera ritenuta "pseudoepigrafa", quella agli Efesini (a cura di Stefano Romanello, Paoli-ne 2003), "che Paolo non sia l'autore della lettera nulla toglie al valore con cui la comunità credente l'accoglie Nella lettera siamo comunque a contatto con una predicazione apostolica, ossia con una testimonianza della fede della Chiesa delle origini, che non rimane attaccata in modo fisso alla figura dell'Apostolo fondatore, ma ne elabora la parola come un tesoro vivo, che diviene significativo per le nuove situazioni in cui la comunità si trova a vivere"

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