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SGALAMBRO MANLIO
De mundo pessimo
SGALAMBRO MANLIO, De mundo pessimo
Autore:
SGALAMBRO MANLIO
Titolo:
De mundo pessimo
Descrizione:
Editore:
ADELPHI
Data di edizione:
giugno 2004
Pagine:
0
Dimensioni cm.:
10x18
ISBN13:
9788845918803
Codice:
168455
Collana:
Piccola Biblioteca Adelphi 513
Prezzo:
Disponibilità:
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Dati aggiornati a giugno 2004
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Lingua
Italiano
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*** Recensione di
Venerdi' 1 ottobre 2004
a cura di: Francesco Dematte'



La collana Piccola Biblioteca Adelphi

Può certamente urtare la filosofia di Manlio Sgalambro, ma non lascia sicuramente indifferenti. Almeno da una ventina d'anni, dalla pubblicazione, cioè, di quella Morte del sole che lo fece conoscere anche fuori dai patrii confini, il filosofo di Lentini è presenza importante sulla scena filosofica italiana. Le sue possono apparire mere provocazioni, ma, se andiamo più a fondo, tali intellettuali provocazioni sono foriere di fruttuosi raccolti. Ci spieghiamo. Sgalambro è filosofo ostico, mille miglia lontano dai filisteismi dominanti, dalle camarille accademiche, dalle bolsa retorica del culturalmente corretto. D'accordo: non sempre è esente da passi falsi - il cantare Manu Chao, come ha messo ben in evidenza Pietrangelo Buttafuoco sul Giornale, è più di un peccato veniale _ -, ma il suo pensare, seppur non sistematico, è vigoroso e rigoroso. O, meglio, proprio perché non sistematico, risulta vigoroso e rigoroso. Cosa che è confermata dall'ultima fatica del filosofo siciliano, De Mundo pessimo, da poco uscito per le edizioni Adelphi (pp. 269, euro 13). Il volume si compone di una serie di brevi scritti, alcuni dei quali già pubblicati in anni passati. E qui si impone una staffilata alla esimia casa editrice Adelphi. Mi si vuole spiegare per qual motivo si informa, correttamente, il lettore che il breve trattato intitolato Della filosofia geniale "è apparso in origine come postfazione al libro La filosofia delle università di Arthur Schopenhauer" pubblicato, va da sé, da Adelphi, mentre i due saggi Contro la musica e Dialogo sul comunismo già editi, rispettivamente, nel 1994 e nel 1995, dalle benemerite edizioni De Martinis di Catania, non vengono gratificati dello stesso trattamento ? Forse perché i piccoli editori non lo meritano ? Purtroppo il non citare eventuali precedenti edizioni di un'opera è un vizio, presente a dir il vero non solo presso Adelphi, che non depone sicuramente a favore della correttezza e dello scrupolo scientifico dell'editoria italiana.

Ma passiamo oltre, e ritorniamo al nostro Sgalambro, che ci consegna nei saggi di De Mundo pessimo più di una gemma filosofica. Innanzitutto nell'introduzione, Lo scrittore di filosofia. Laddove il nostro autore rivendica il diritto di fare filosofia affermando la verità. Cosa ovvia, penserà il lettore. Non tanto, se oggi va per la maggiore, in certi paludosi anfratti della filosofia universitaria, un nichilismo che, lungi dall'essere solamente etico - e già questo sarebbe grave _ - si allarga al campo gnoseologico e a quello ontologico. "La filosofia, considerata academice - rileva infatti Sgalambro - è la capacità dei filosofi di mestiere di discutere all'infinito di tutte le evidenze senza averne nessuna". Il filosofo verace, al contrario, non può, anche se lo volesse, rinunciare alla sua evidenza, alla sua verità. E non può esistere una pax philosophica in cui tutte le verità si equivalgono, ma, al contrario, sempre impera la lotta non solo fra verità e falsità, ma tra verità e verità. Questa battaglia contro il debolismo nichilistico in filosofia non è limitata all'Introduzione, ma si dispiega pure in altri saggi raccolti nel volume. Nel Dialogo sul comunismo, per esempio, si possono leggere queste illuminanti parole: "Un uomo senza verità viene considerato un galantuomo, e a chi sostiene di averne una non ci si scorda di ricordare minacciosi, dopo risate sguaiate, che un tempo per simili bestie c'era il rogo. Ma vedo imminente - conclude il filosofo siciliano - il ritorno di `integralismi' filosofici, dogmatici e duri _". Noi lo auspichiamo, anzi ne siamo impazienti _

Tale critica nei confronti dell'agnosticismo relativistico in filosofia non può che essere accompagnata da un'acuta e irriverente accusa nei confronti della democrazia, ai limiti del più `scandaloso' politicamente corretto: "se il principio di tolleranza - rileva Sgalambro - applicato alla filosofia fa scomparire il concetto di una verità unica ed eterna" allora "l'attuale fase democratica della filosofia sta conducendola alla fossa". Non è possibile coabitazione tra filosofia e democrazia. La filosofia, intesa come culto e cura per la verità, è un pericolo per la democrazia: "la filosofia è accettata dalla democrazia se tutte le filosofie sono uguali. Se, cioè, non esiste una filosofia più vera di un'altra. Se non esiste quindi una filosofia `vera' ". E' ciò che abbiamo sempre pensato: da Socrate a Gentile la democrazia si dimostra nemica, e assassina, della verità, e quindi della filosofia.

Denso di spiriti antimoderni è il pensiero di Sgalambro, in cui autori come Nietzsche, Spengler, Heidegger e anche Junger sono indubbiamente presenti, a volte in modo implicito, a volte esplicito. Certo, in lui, come si anticipava, non è da cercare un sistema e, quindi, un argomentare conseguenziale, in cui tutte le parti si compongano armoniosamente, in un sistema appunto. Che non c'è. Anche se, in modo paradossale, i saggi di De Mundo pessimo appartengono per l'autore al genere "parerga e paralipomena", che potremmo tradurre con "lavori secondari e cose rimaste" - evidente è il riferimento a Schopenhauer - di un sistema che ancora non c'è e, forse, non ci sarà mai. Ma, d'altra parte, il pensiero sistematico nella tradizione occidentale è fuori moda già dalla fulminante esperienza nietzscheana e oggi, circondati come siamo dal conformismo delle frasi fatte e delle filosofie precotte - e financo predigerite _ - , ciò di cui abbiamo bisogno nel deserto che avanza è la freschezza di un pensiero che si manifesta per lampeggianti intuizioni al fine di mostrare la nudità del re, che altri non è se non il pensiero moderno. Come fa Sgalambro nei sulfurei aforismi contenuti in Dell'apatia, ove i moderni idoli dell'eguaglianza e del sociale sono più che irrisi. Leggiamo insieme il seguente, di schietta ascendenza nietzscheana: "Bisogna che ci sia chi trascina il cocchio e chi vi sale ed è portato. Che se la tengano, la società, rimanga per gli stolti che in essa e di essa si appagano. Sbrigano servizi senza accorgersene e se ne servono. E producono quella ricchezza che rende splendido l'Eden per chi è nato solo per suonare il flauto. Sì, che lavorino e si affannino, sudino e si abbrutiscano, affinché un altro tragga una nota o porti a perfezione un concetto". Insocievolezza, apatia, indifferenza, financo aridità, è questo che predica Sgalambro, forse con sottile perfidia provocatoria, di certo con mirabile anticonformismo. Che cosa c'entri tutto questo rifuggire dal plebeismo dominante con il comunismo dell'omonimo Dialogo, è sicuramente domanda da porsi, anche se il comunismo di Sgalambro nulla ha a che fare con il comunismo dei diseredati, con l'idea balorda di una 'società migliore'. Al contrario è una sorta di comunismo metafisico, "una condizione non dissimile da un'estasi", "il rifiuto delle disparità metafisiche" nella consapevolezza che la differenza fra ` geni' e `uomini comuni' è più grave e decisiva di quella tra ricchi e poveri. Tale comunismo, ma sarebbe più opportuno usare il termine comunitarismo, nasce dalla comune esperienza della contemporaneità con la fine del mondo che produrrà "una comunità di uomini duri e superbi" , "inflessibili e potenti" che avranno una sola etica: `valere' non `essere'. Tesi che sembra declinare `comunitaristicamente' il superuomo di Nietzsche. Anche in questo caso, pertanto, si manifesta una concezione aristocratica dell'esistenza, che è un po', a nostro avviso, la cifra essenziale dell'autore de La morte del Sole, accanto, naturalmente, ad un cosmico, o addirittura totalitario, pessimismo, quale emerge, per esempio in De coelo.

Attenzione, però: non vogliamo, e non abbiamo voluto, interpretare Sgalambro. La nostra vuole essere, come si augura lo scrittore di filosofia dell'Introduzione al volume, solamente il riflesso di una rispettosa contemplazione di concetti, a sua volta produttrice di pensieri e, anche, di emozioni. Modalità certamente fruttuosa di porsi nei confronti dell'opera del filosofo di Lentini.

Francesco Demattè

 

Pubblicato sul Secolo d'Italia del 1/10/2004


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