Traduzione di Roberto Serrai Soverchiato dalla cima ad artiglio e dalle giogaie scoscese dell'omonimo monte, il reame di Gormenghast ha il suo centro in un immane agglomerato tirannico con le sembianze di un castello Qui ogni antica bellezza si è corrotta in cupa fatiscenza: le mura sono sinistre "come banchine di moli", e le costruzioni si tengono tra loro "come carcasse di navi sfasciate" E qui, intorno al piccolo Tito - divenuto il settantasettesimo conte dopo la misteriosa morte di Sepulcrio -, si muovono gli esseri inconcepibili e indimenticabili che sono la sostanza stessa di cui è composto il castello: come la gigantesca contessa Gertrude, la madre, dalle spalle affollate di uccelli e dallo spumoso strascico di gatti bianchi; l'amata sorella Fucsia dai capelli corvini, che col suo abito cremisi in$amma i corridoi grigi; il fanatico custode delle leggi, Barbacane, nano storpio che raggela il sangue col secco schiocco della sua gruccia; e il gelido Ferraguzzo, che non cessa di ascendere verso il culmine della sua bramosia di potere Prigioniero di riti decrepiti e immemoriali e di oscure trame che falciano la sua livida Corte, Tito, che pure vorrebbe sfuggire a Gormenghast, dovrà combattere per salvare dal Male il cuore del castello - e trovare se stesso: perché forse un altrove non è nemmeno pensabile, e tutto conduce a Gormenghast Nel secondo pannello della sua trilogia, Peake raggiunge il nucleo più oscuro di una narrazione che molti hanno paragonato, per vastità di respiro e potenza visionaria, al Signore degli anelli In realtà egli va molto oltre, riuscendo a saldare in un travolgente flusso romanzesco il male della storia e il Male metafisico, la forza archetipica della fiaba e la metafora sociale, e a far dono al lettore di una scrittura che fonde lo smalto imprevedibile dei colori alla precisione iperrealistica dei dettagli - quasi la 'trascrittura' dell'arte di un pittore fiammingo gettato dal caso nel cuore della modernità e della sua crisi | |
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