Questa volta Brelich si misura con Giuditta - l'unica fra tutte le eroine dell'antichità ad "affdare la salvezza della sua città, del suo popolo e l'avvenire del suo Dio esclusivamente alla propria bellezza" - e ne ripercorre la vicenda con la consueta, affabile scioltezza, indagandola con gli strumenti più vari (non ultimo la psicoanalisi) E poiché ha la scienza del teologo e la grazia del narratore, riesce a farci penetrare nel mistero di questa seducente eroina-avventuriera, in quel miscuglio di castità austera e irresistibile sex-appeal che non a caso ha ispirato alcuni fra i più grandi degli "antichi maestri" Con la sua ironica saggezza (e con quella che è stata definita "la disinvolta sfrontatezza" del suo percorso interpretativo), Brelich ci trascina da una digressione a una riflessione, da una interrogazione a una ipotesi - e sempre chiamando in causa il nostro giudizio, la nostra immaginazione, il nostro aiuto investigativo, quasi ci chiedesse di prendere parte attiva alla narrazione come si fa con i bambini a cui si racconta una fiaba Riesce così a mettere in luce, dei testi sacri (consumati e come spolpati dalle esegesi), qualcosa che tutti sembrano aver trascurato, e a svelarci, in de?nitiva, aspetti paradossali, o tragici, o talvolta per?no comici, di quelle che usiamo chiamare "le insondabili vie del Signore" | |
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