Il Montello, il bosco proibito fin dal 1471 per volontà del doge Nicolò Tron, resta nella storia della Serenissima il bosco veneziano per antonomasia; così lo individuerà con rabbia il popolo esiliato dei paesi montelliani. La foresta dei grandi roveri sarà bandita alla gente comune, con vessazioni e processi di massa, non solo da Venezia, ma anche dal Regno napoleonico, dall’Austria e, per quasi un trentennio, dai governi dell’Italia Unita.
Di questa vicenda, per larga parte sconosciuta, si fa
narratore Gian Domenico Mazzocato ne Il bosco veneziano, un romanzo in cui è protagonista la famiglia Barro, nello svolgersi di tre generazioni, con Ireno, con Bino e sua moglie Clotilde, e il figlio Teofilo. La loro storia è fatta di angherie e povertà. Quando i Barro saranno costretti a emigrare in Brasile vorranno ricostruire anche nei nomi la terra nativa abbandonata.
Al tessuto centrale l’autore aggiunge racconto a racconto, personaggio a personaggio: vivissimi rimangono nella memoria,
oltre a Toni che ritorna – rabdomante – al suo bosco, Sereno Rudatis, nativo di Auronzo, pittore di "santi alle finestre", e la straordinaria figura di Irma, "la madre degli zattieri". Ma anche la terribile piena del Piave, nel 1882.
Mazzocato ritrae con puntiglio psicologico e insieme realistico le persone e i luoghi, facendo confluire i vari momenti in una epopea sociale degli ultimi nella quale possono riconoscersi tutti gli sfruttati, e non solo i pisnenti de Il bosco veneziano.
L’autore trevigiano mantiene, e dilata, le capacità narrative che lo hanno reso famoso con Il delitto della contessa Onigo, avvolgendo il lettore con vigore e dolcezza, conquistandolo con quelle sue atmosfere terragne e ancestrali, con quella sua scrittura impulsiva, icastica, ma così vicina all’oralità contadina.
Il bosco veneziano ha una pietas evidente e si distingue per un suo timbro corale e anche dolente, per una immaginosità intrepida e larga.
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