Si può parlare di
“generazione del concilio”?
Il quaderno precedente di Servitium ne ha
individuato i temi “alti” e le persone che li hanno
significativamente interpretati.
Con questo secondo quaderno si vorrebbero toccare le esperienze più
“minute” di chi, in forma più “normale” e “feriale” ha
vissuto quella situazione.
È corretto parlare di generazione, nel senso di coetanei che hanno visto
un momento storico particolarmente significativo, capace di influenzare
la loro vita e il loro modo di vedere le cose. Per altre generazioni
furono eventi più traumatici, come la guerra; mentre questa è stata
segnata dal Concilio ecumenico vaticano II.
Al suo interno si può fare una distinzione fra coloro che vi sono giunti
maturi e i più giovani, che hanno sommato al concilio, in fase liceale o
universitaria, la vicenda del cosiddetto ’68, con particolari esiti
anti-autoritari e anti-istituzionali. Ma c’è anche chi sostiene, e
forse a ragione, che tra i due eventi quello veramente
“rivoluzionario” fosse il concilio.
In cosa sia consistita l’esperienza conciliare della generazione
si può schematicamente descrivere come un senso di libertà, rispetto a
un mondo fatto di regole; di accentuazione sintetica del “contenuto”
(Dio mi ama), rispetto a una “forma” svalutata (pratiche, precetti,
norme); di apertura a un mondo visto in positivo come tutto
potenzialmente redento, rispetto alle chiusure e agli steccati che, fino
a quel momento, segnavano rigidamente le appartenenze; di spinta al
dialogo, mettendo l’accento sulla comune umanità (ciò
che unisce), rispetto alle rigide appartenenze di parte e/o
campanile.
Articoli di:
L. Accattoli / M.C. Barolomei
/ U.G.G. Derungs / I. De Sandre / E. Edallo / F. Geremia / C. Ghidelli /
F. Manenti / G. Ottolini / E. Peyretti
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