Fausta Garavini con la sua scrittura anima il mondo, disegna contorni di cose, emozioni, sentimenti con la nettezza dell’intaglio di un diamante per costruire un telaio narrativo che è insieme romanzo gotico e di formazione, affresco storico e avventura dello spirito.
“Le case vecchie sono permalose.
Le compriamo, tentiamo di farle nostre, ma non appartengono mai interamente a qualcuno. Questa poi non è nemmeno mia, l’ho solo in prestito, il mio diritto di essere qui è così fragile.
Insomma mi sento un intruso.
Ma allora perché, fin dal mio arrivo, la vaga coscienza d’un richiamo, un’indefinibile aria familiare, un’impronta di già visto, di già vissuto?”
Un fotoreporter che ha subìto un grave incidente, per ritrovare il proprio equilibrio ha preso in affitto una antica villa in mezzo alla laguna, visitato saltuariamente dall’unico suo contatto con il mondo, Norberto.
Ben presto, però, la grande casa in cui si trova a vivere da solo, comincia ad animarsi e
ad animare il suo desiderio di conoscerne la storia e la storia di chi l’ha abitata. Osserva le tracce del passato, quadri, suppellettili, mobili, e scopre lettere, fotografie, ritagli di giornale, in cui si riaffaccia la vicenda di una famiglia investita dal destino: Rodolfo, sposato ad Amanda e padre di Alvise; e Gualtiero, sposato a Matilde e padre di Lavinia.
Rodolfo è un imprenditore, un Cavaliere, mentre Gualtiero è un artista. Le loro voci, e quelle delle mogli e dei figli, gettano il
curioso abitante della misteriosa casa avvolta nelle brume in un passato lontano, dove si avvertono i rintocchi della storia del Novecento, le pulsioni di giovani cuori colmi di speranze e delusioni, amori e tradimenti.
E tra quelle voci e quelle storie lo colpisce e lo affascina quella dell’amore tra Lavinia e il giovane Alvise, la cui tomba, incongruamente, è assente dal piccolo cimitero di famiglia.
È Norberto a custodire il mistero di quell’assenza e di quell’amore che neppure il Diar
io delle solitudini può rivelargli.
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