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diario di guerra

Bachmann Ingeborg

diario di guerra

ADELPHI

«È l'estate più bella della mia vita e, dovessi campare cent'anni, queste reste­ranno per me la primavera e l'estate più belle. Della pace non si avverte un gran che, dicono tutti, ma per me è pace, pace!». Così scrive nel suo diario una Bachmann diciottenne alla capitolazione del Terzo Reich.

Un diario salvato dall'oblio, di stupefacente intensità, che manifesta ripugnanza etico-estetica verso il nazismo ed euforia per la sua caduta. E che racconta un grande amore, di cui ci rendono partecipi anche le lettere che al mono­logo della Bachmann fanno da contrappunto. A scriverle è Jack Hamesh, giovane soldato britannico ma in realtà ebreo viennese, fuggito nel 1938 in Inghil­terra e ora tornato da liberatore. Lui le bacia la mano e lei, commossa, si arram­pica su un melo e pensa di non lavarsela mai più.

Gli incontri diventano assidui, l'amicizia impetuosa, e gli scrittori amati da entrambi – Mann, Zweig, Hofmannsthal – accendono le conversazioni. Seguiranno la lontananza, le attese, i silenzi. E le lettere appassio­nate e dolenti di Jack – che dall'età di diciott'anni vaga per il mondo, e solo nella di­visa di un esercito straniero ha trovato un'effimera identità – a colei che lo ha lasciato andare via, che non ha voluto chiedergli di restarle accanto. Che cosa gli è rimasto del breve ritorno a casa, di quella ragazza affascinante?

A noi, di certo, molto: la testimonianza – rara, lacerante e immediata – di un dialogo tra i figli delle vittime e i figli dei colpevoli: «No, co n gli adulti non si può più parlare» scrive Ingeborg.

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Data ultimo aggiornamento: Venerdi' 10 giugno 2011