Lo “zio”, una figura mitica e allo stesso tempo reale e viva nelle più disparate culture, così somigliante da sembrare la medesima.
Chi non ha ammirato e amato zio Zeb della saga “Alla Conquista del West”? O zio Eroška de “I Cosacchi” di Tolstoj?

Ecco, zio Quirino è l’emblema dello zio d’Italia, quel sano e libero educatore, quel familiare presente anche quando non c’è (o non c’è più) che tutti avremmo voluto avere per insegnarci a vivere.
Ora “guerrigliero”, ora cacciatore o uccellatore; a volte mite, a volte violento. Ma sempre uomo forte e d’onore, sempre Zio.
Si spiega così il motivo per cui, di questi quindici racconti, ben tredici lo accolgono come protagonista o, quantomeno, come attore insostituibile…


Dal racconto “Arrivederci in cielo”:
- Sì sì, ma quando vieni non suonare, entra subito, trovi aperto. Se non sono in cucina sono nel canile (era un suo modo per dire “sono a letto”). E se va come deve andare, arrivederci in cielo!-.
Passò più di un anno, i salami divennero davvero squisiti, con quel sapore di affumicato che solo lui sapeva ottenere. Lacci e trappole non ne costruì, così donò al nipote una parte di quelle vecchie.
Ad ogni incontro raccontava un fatto accadutogli nella sua lunga vita, assaporava volentieri un caffè e, dopo aver rimarcato di non sentirsi “tanto per la quale”, avviandosi al “canile”, si accomiatava così: “Arrivederci in cielo”.